Raimondo di Sangro: Principe di San Severo e delle tenebre, a cura di Luca Berto, dal sito Dal Tramonto all'alba

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CignoNero
view post Posted on 9/8/2010, 13:17






“Ammazzò sette cardinali e con le loro ossa costruì sette seggiole, mentre la pelle, opportunamente conciata, ricoprì i sedili…”
Benedetto Croce, Storie e leggende napoletane

Nonostante sia morto da almeno centotrent’anni, ogni volta che a Napoli si sente pronunciare il nome di Raimondo De Sangro, la gente si fa il segno della croce e i debiti scongiuri, quasi avesse a che fare con un demone di un’altra dimensione. Evidentemente, questo nobiluomo non ha lasciato ai suoi posteri un bel ricordo. Vediamo di capire perché.
La famiglia dei De Sangro o Di Sangro era molto antica e vantava ascendenze illustri: secondo una tradizione araldica, la famiglia era di origine borgognona ed era imparentata con Carlo Magno attraverso il ramo di Oderisio, conte di Sangro nel 1093. A conferma di questo è lo stemma dei Di Sangro, che è lo stesso dei discendenti dei duchi di Borgogna, che fondevano le stirpi carolingia, longobarda e normanna. Legatissima al potente Ordine Benedettino, la Casa De Sangro vanterà, oltre ad abati ed altissimi prelati, anche i santi Oderisio, Bernardo e Rosalia. Legati da vincoli di parentela con la potente casata furono anche quattro pontefici: Innocenzo III (1198-1216), Gregorio IX (1227-1241), che istituì la famigerata Santa Inquisizione (contro l’ammissione della quale nel regno di Carlo di Borbone si battè proprio il lontano discendente Raimondo De Sangro), Paolo IV Carafa (1555-1559) e Benedetto XIII (1724-1730). Proprio attraverso S. Bernardo la Casa si legò poi all’Ordine dei Cavalieri del Tempio, i Templari. Oltre ai titoli di Principi di Sansevero (un titolo che ha come primo rappresentante, nel 1587, Gianfrancesco “Cecco” De Sangro) e duchi di Torremaggiore, la famiglia contava una lista lunghissima di titoli: Principe di Castelfranco, Principe di Fondi, duca di Martina e molti altri. Raimondo nacque il 30 gennaio del 1710, terzo di tre fratelli, da Antonio De Sangro e Cecilia Caietani d’Aragona. La famiglia, però, conservò la propria unità per brevissimo tempo: la madre, infatti, morì quando il bambino aveva soltanto un anno ed anche i primi due fratelli, Paolo e Francesco, morirono in tenera età. Il padre Antonio, addolorato per la scomparsa della consorte, dopo una vita alquanto dissoluta rinunciò al titolo nobiliare, affidò il piccolo Raimondo al nonno Paolo, sesto Principe di Sansevero, e si ritirò in clausura. All’età di dieci anni, fu inviato a Roma in un seminario gesuitico per essere educato. Alla morte del nonno, alla giovane età di 16 anni, Raimondo ereditò il titolo che era stato del padre e divenne Principe di Sansevero. Quattro anni dopo, a vent’anni, con un notevole bagaglio culturale, frutto della sua preparazione enciclopedica di stampo gesuitico, il giovane riuscì finalmente a tornare nel palazzo dei suoi avi: il Palazzo Ducale Sangro, ancora esistente in piazza S. Domenico Maggiore al numero 9, a Napoli. Il letterato e politico napoletano Antonio Genovesi, nella sua Autobiografia, lo descrive come “di corta statura, di gran capo, di bello e giovanile aspetto; filosofo di spirito, molto dedito alle meccaniche; di amabilissimo e dolcissimo costume: studioso e ritirato; amante le conversazioni d’uomini di lettere. Se egli non avesse il difetto di avere troppa fantasia, per cui è portato a vedere cose poco verosimili, potrebbe passare per uno de’ perfetti filosofi”.

Intanto, il 10 maggio 1734 il diciassettenne Re Carlo III di Borbone, figlio di Filioppo V di Spagna, entrò trionfante a Napoli per prendere possesso del Regno delle due Sicilie. Nonostante la giovane età e l’apparente inesperienza, il sovrano sapeva di doversi creare una corte formata da persone fidate allo scopo di familiarizzare con il regno che si era appena conquistato. Così, subito dopo le sue nozze con Amalia Walburga di Polonia, istituì l’Ordine cavalleresco di San Gennaro, del quale fu primo Gran Maestro, al quale sarebbero appartenuti solo i sessanta membri della più antica nobiltà, scelti uno per uno dal re in persona. Il Principe di San Severo, naturalmente, fu uno dei primi ad essere chiamato. Per ringraziarlo dell’onore concesso, poiché il sovrano amava la caccia, Raimondo gli fece fabbricare dei mantelli di un tessuto impermeabile di sua invenzione: il sovrano, ovviamente, ne restò entusiasta. Il Principe De Sangro ricevette gli elogi e manifestazioni di stima in molte altre occasioni. Nel 1744, per esempio, il Principe, in qualità di colonnello del reggimento di Capitanata, liberò, alla testa delle sue truppe, la città di Velletri, che era stata occupata dall’esercito del generale austriaco Lobkowitz. Sempre per restare nel campo militare, a lui si devono le invenzioni di uno speciale cannone in lega di ferro (allora la maggior parte delle armi era di bronzo) e di un fucile a retrocarica che, di fatto, anticipò l’invenzione del Lefaucheux, l’ideatore riconosciuto della nuova arma. La tecnica e la tecnologia, però, non erano i suoi soli interessi. Nonostante l’insegnamento religioso che aveva ricevuto dei gesuiti, ben presto il giovane nobile napoletano entrò a far parte della Confraternita segreta dei Rosacroce, dove venne iniziato ad antichi riti alchemici. Da quel momento, il Principe cambiò radicalmente la propria vita dedicando tutto il suo tempo all’alchimia. Alambicchi, forni e provette riempirono così lo scantinato del suo palazzo e di notte non era raro vedere strani fumi colorati e sentire odori pestilenziali fuoriuscire dalle finestre sbarrate che davano sulla strada. Fu in quel periodo che i napoletani iniziarono a chiamarlo “stregone”.
Raimondo De Sangro, però, aveva anche un altro hobby: il bel canto. Il Principe, infatti, si dilettava a girare per i suoi vasti possedimenti in cerca di fanciulli dalla bella voce, che di soli trovava nei cori parrocchiali. Allora li “comprava” dai genitori, li faceva castrare dal suo medico di fiducia, il palermitano Giuseppe Salerno, e poi li rinchiudeva nel Conservatorio dei Poveri di Gesù Cristo, a Napoli, dove i giovani, poveri castrati venivano educati per la carriera di soprani. L’aspetto che ci interessa di questa “attività” di Raimondo De Sangro non è soltanto quello meramente canoro: il Principe, infatti, nei castrati non vedeva soltanto dei cantanti ma anche l’avvenuta creazione di quella perfezione che i Rosacroce identificavano nell’”annullamento del dualismo della separazione, nel ritorno all’androgino primordiale”. Erano, per farla breve, il frutto di un’operazione filosofico-morale.
Questo, naturalmente, non fu l’unico “campo” entro il quale il Principe versò le sue conoscenze ed il suo talento. Il prodotto più importante della sua opera nel campo dello scibile umano che non si impara sui libri di scuola è la famosa Cappella di Sansevero, la cappella di famiglia, decorata con statue ed altre opere realizzate, in parte, dallo stesso Principe. Ma di questo parleremo in seguito.
Sempre versato nelle sue pratiche di alchimista e stregone, a partire dal 1750 anche Napoli cominciò ad avere una propria loggia massonica. Raimondo, naturalmente, decise di farne parte. Visto il prestigio di cui godeva, i suoi confratelli lo nominarono immediatamente Gran Maestro di tutto il Regno delle due Sicilie.
La suggestione occultistica e alchimistica introdotta dal filone scozzese nella struttura razionalistica della massoneria di tipo inglese, faceva molta presa sulla nobiltà e sulla borghesia. E il Principe seppe sfruttarla tanto bene che ben presto nella sola Napoli si contarono un migliaio di “fratelli” suddivisi in diverse logge. Le diverse logge furono da lui unificate sotto l’unico indirizzo Scozzese.
Nel Settecento le logge prendevano il nome delle taverne dove i “muratori” si incontravano per discutere di filosofia, di essoterismo, di politica, tutto nel rispetto dell’uguaglianza e del libero pensiero. Discussioni che vertevano su queste tematiche, naturalmente, finirono per impensierire il Santo Uffizio, il tribunale dell’Inquisizione, che da tempo cercava di aprire una “sede” nel Regno delle due Sicilie. Sfruttando, dunque, queste “pericolose logge massoniche”, papa Benedetto XIV il 15 gennaio 1751 comunicò all’ambasciatore di Carlo III di essere gravemente preoccupato per il diffondersi della massoneria nel Regno e negli stessi ambienti di corte. Anche il re Borbone si era dato da fare per saperne di più su “un’unione senza l’intelligenza ed approvazione del Sovrano”. Oltre a questi motivi politici, ve ne erano altri, di carattere più religioso: proprio in quell’anno il miracolo della liquefazione del sangue di San Gennaro non si era compiuto e il popolo, aizzato da un certo padre Pepe, aveva dato vita ad un vero e proprio movimento popolare contro i massoni, considerati i responsabili del mancato prodigio. Alla luce di questo, il 28 maggio 1751 Benedetto XIV emanò la bolla Providas Romanorum Pontificum, che confermava la scomunica alla massoneria già espressa tredici anni prima dal suo predecessore, Clemente XII.
La vittima più illustre di tutti questi fatti fu, naturalmente, il Principe di San Severo, il quale, però, presentendo la tempesta che si stava per scatenare, aveva agito in anticipo. Il 26 dicembre 1750, infatti, Raimondo si era presentato al re e gli aveva consegnato la lista dei nomi degli affiliati alla sua loggia massonica, insieme con tutti i documenti relativi alle logge presenti nel Regno.
In seguito, il 2 luglio 1751, Carlo III pubblicò l’editto contro i “liberi muratori”. Il primo agosto dello stesso anno, il Principe scrisse al Papa abiurando la sua fede massonica e mettendosi sotto la sua protezione. Tradendo il segreto massonico, il Principe salvò la propria testa e la propria posizione sociale: il re, infatti, se avesse voluto fare veramente “giustizia” e rispettare le disposizioni papali, avrebbe dovuto mettere in carcere metà della sua corte. Al contrario, il sovrano si limitò a impartire una “solenne ammonizione” a tutti i massoni napoletani.
Cacciato ed odiato dalla sua antica fratellanza e dagli stessi amici di un tempo, il Principe tornò a occuparsi, per gli ultimi vent’anni della sua vita, dell’alchimia e della realizzazione della sua Cappella.
Morì la sera del 22 marzo 1771 “per malore cagionatogli dai suoi meccanici esperimenti”, leggiamo nella Autobiografia di Genovesi. Probabilmente aveva inalato o ingerito qualche sostanza tossica durante le sue lunghe notti nel laboratorio. Questa è la versione “ufficiale”. Vi è, poi, la versione mitica. Secondo una leggenda napoletana, il Principe De Sangro, durante i suoi interminabili esperimenti alchemici, avrebbe scoperto un elisir prodigioso, capace di ridare vita ai cadaveri. Volendolo sperimentare su sé stesso, diede ordine ad un suo servo, di cui si fidava ciecamente, di tagliare il suo corpo a pezzi e di collocarli in un baule, al cui interno si sarebbe dovuto svolgere il procedimento di rinascita, con metalli nobili opportunamente dosati. Alcuni parenti, però, incuriositi da quello strano contenitore entro il quale pensavano forse di trovare oggetti preziosi, vincendo le resistenze del servo, aprirono il baule prima che si completasse l’opera di ricomposizione. Tra il terrore dei presenti, il corpo del principe venne fuori con gli organi ancora soltanto parzialmente collegati tra loro: l’elisir non aveva completato l’opera di ricostruzione. Rapidamente, dopo un urlo di dolore sovraumano, quella larva di corpo si disfece e i vari pezzi ricaddero nel baule.
La leggenda di Raimondo De Sangro, però, non finisce qui. Nel 1790, di fronte al tribunale romano dell’Inquisizione, il conte Cagliostro, già membro della confraternita dei Rosacroce, affermò che tutte le sue conoscenze alchemiche gli furono insegnate a Napoli da “un principe molto amante della chimica”. Quale sia il nome di questo principe, non ci è dato saperlo, visto che i verbali del processo sono tenuti nel più stretto riserbo da parte della Reverenda Camera Apostolica. Comunque sia, i giudici non vollero credere a Cagliostro e lo condannarono all’internamento a vita nella rocca di San Leo. A quanto pare, dunque, il Principe Raimondo De Sangro fu il maestro del Conte di Cagliostro.

Il resto dell'articolo lo trovate qui:
www.daltramontoallalba.it/personaggi/principesansevero.htm

 
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